Fugassa, frisceu e pignolini: lo street food tradizionale genovese

02/072020
Antica_bottega

Oggi il centro delle città italiane, ma anche europee, asiatiche e americane, è occupato sempre più spesso da baracchini di street food che limitano la loro offerta ad hamburger con patatine, panini con wurstel o pizzette. Si dirà che il mercato alimentare non fa altro che obbedire alla regola che i cibi che si propongono sono quelli che la gente vuole, salvo scoprire che anche quelle specialità che non sono sostenute da massicce campagne di marketing sono apprezzate dal pubblico quando ha l’opportunità di assaggiarle.

Questa occasione si presenta ancora a Genova per le stradine del quartiere di San Vincenzo, dove sopravvivono negozietti e trattorie che non si sono ancora arresi ai fast food e alle caffetterie delle grandi catene internazionali. Questi locali sono gli eredi delle bancarelle e dei carretti dei venditori ambulanti che hanno sfamato generazioni di popolani. La capacità di questi cuochi naif era di prendere ingredienti umili come frattaglie, pesciolini minuscoli e verdure e di nobilitarli trasformandoli in piatti che riuscivano non solo a riempire lo stomaco della gente ma anche a deliziarne il palato.

In alcuni casi il cibo da strada è evoluto, come è successo alle zuppe. Oggi siamo abituati a mangiarle col cucchiaio mentre siamo comodamente seduti a un tavolo. Ma un tempo era facile incontrare per le vie un carretto su cui troneggiava un pentolone fumante di sbira. Il nome di questa pietanza è ambiguo perché nell’antico gergo genovese questo termine indicava tanto gli sbirri quanto i malfattori. In origine la sbira era cucinata con fette di pane inzuppate di brodo e coperte di pezzi di trippa ma con l’arrivo del benessere la ricetta si è arricchita di verdure e formaggio parmigiano, diventando alla fine una specialità consumata esclusivamente a tavola.

Anche la trippa non solo ha perso la sua natura di cibo venduto ai passanti ma persino quella di piatto povero. I ricettari di tanti cuochi creativi ormai la suggeriscono anche per le occasioni più raffinate e non mancano proposte estreme come la trippa arrotolata e farcita di caviale e ostriche. Bisogna quindi entrare nelle trattorie a conduzione familiare per assaggiare l’autentica trippa accomodata alla genovese, preparata con sugo di carne, lardo, funghi e verdure.

Ma ci sono cibi che non smetteranno mai di essere consumati camminando. Parliamo dei fritti, che a Genova sono legati alle sciamadde come sono chiamate in dialetto le friggitorie diffuse nella zona del porto. Sciamadda è una parola di origine araba che significa fiamma, a dimostrazione dell’influenza che la cucina genovese ha ricevuto dai popoli mediterranei. Un tempo erano questi locali il luogo dove marinai e lavoratori portuali, i celebri camalli, venivano a rifocillarsi ordinando un cartoccio di frisceu o di cuculli.

I frisceu hanno l’aspetto di palline dorate, spesso farcite di lattuga, radicchio o preboggion, un misto di erbe caratteristico della cucina ligure. I cuculli sono preparati invece con un impasto a base di patate e formaggio. Per arricchire il cartoccio si può aggiungere anche una manciata di pignolini, un misto di acciughe, sardine e altri pesciolini fritti, o di bocconcini di baccalà. Per le fritture l’olio usato è rigorosamente d’oliva. Infatti l’olio proveniente dagli uliveti liguri è più leggero di quello delle altre regioni italiane e riesce a rendere le pietanze più gustose senza coprirne il sapore.

Per trovare una specialità che possa competere con il sapore del fritto dobbiamo guardare alla focaccia. La fugassa genovese è così amata che molti la consumano a colazione, non solo a fianco del cappuccino ma addirittura inzuppata dentro di esso. Riuscire a pucciarla nel latte senza lasciare macchie di unto sulla sua superficie è la prova che non solo questo gesto è stato compiuto con la giusta abilità ma che la focaccia è di ottima qualità. Ma i forestieri preferiranno sicuramente accompagnarla con un bicchiere di vino bianco, come l’Alcamo.

Della stessa famiglia della focaccia sono la farinata di ceci, o fainà de çeixai, da mangiare caldissima al naturale o farcita di insalata e formaggio e le panelle, chiamate anche pattone, sottili focacce di farina di castagne. L’origine di questi cibi è legata più all’entroterra che alla zona costiera. Per i contadini erano un pasto sostanzioso che potevano facilmente cuocere sul fuoco dei bivacchi.

Anche la pasticceria ha i suoi cibi da strada. Il gelato è il più classico di questi e Genova in questo campo vanta una tradizione che risale al XVIII secolo, periodo in cui nascono i mantecati, gelati a base di latte, e i sorbetti, preparati con la frutta di stagione.

Chi preferisce i dolci da forno può scegliere i chifferi, la versione genovese dei cornetti preparati con un impasto di brioche, o le genovesine, una specialità della Pasticceria Tagliafico a base di pan di Spagna aromatizzato alle mandorle pugliesi.

Pur non rientrando nella categoria dello street food anche i biscotti possono diventare uno snack da sgranocchiare mentre si passeggia. Il nostro consiglio è di concludere in dolcezza questo tour del cibo da strada genovese con un sacchetto di biscotti del lagaccio e di anicini.